Sarà l'Italia a fornire il Force Commander per l'operazione Aspides nel Mar Rosso, evidenziando l'importanza strategica e la fiducia nell'expertise militare italiana in contesti internazionali. Questa richiesta posiziona l'Italia in un ruolo di primo piano nella gestione di una delle operazioni di sicurezza marittima più delicate e cruciali del momento.
Contesto dell'Operazione Aspides
L'operazione Aspides rappresenta un'importante missione internazionale volta a garantire la sicurezza e la libertà di navigazione nel Mar Rosso, un'area che negli ultimi anni ha visto un incremento di tensioni geopolitiche, pirateria e attività terroristiche. La scelta del nome "Aspides", che richiama gli scudi utilizzati nell'antichità, simboleggia la protezione e la difesa dei valori di sicurezza e stabilità internazionali.
Ruolo dell'Italia e del Force Commander
Il Force Commander ha il compito cruciale di esercitare il comando delle forze navali impiegate nell'operazione, coordinando le azioni in mare, le strategie di intervento e la collaborazione con le forze navali di altri paesi partecipanti. La richiesta dell'Unione Europea affinché l'Italia fornisca l'ufficiale ammiraglio per ricoprire questo ruolo testimonia la stima e la fiducia nelle capacità della Marina Militare italiana, riconosciuta per la sua esperienza e professionalità in contesti operativi internazionali.
Obiettivi e Sfide dell'Operazione Aspides
L'operazione Aspides mira a garantire la sicurezza delle rotte marittime nel Mar Rosso, proteggendo le navi commerciali e i traffici marittimi dagli attacchi di pirateria e dalle minacce terroristiche. Un altro obiettivo fondamentale è quello di contribuire alla stabilità della regione, attraverso azioni di deterrenza e la promozione di iniziative di dialogo tra le nazioni riverane.
Le sfide che l'operazione si prefigge di affrontare non sono soltanto di natura militare, ma anche diplomatica e umanitaria. Tra queste, la necessità di coordinare gli sforzi con le autorità locali e internazionali, la gestione dei flussi migratori nel Mar Rosso e il supporto alle operazioni di soccorso in mare. La designazione dell'Italia per fornire il Force Commander dell'operazione Aspides nel Mar Rosso è un segnale forte dell'impegno europeo nella regione e sottolinea il ruolo dell'Italia come attore chiave nella sicurezza marittima globale. Questa operazione rappresenta un'opportunità significativa per l'Italia di dimostrare le sue capacità di leadership e la sua dedizione alla sicurezza e stabilità internazionali, affrontando al contempo sfide complesse in uno scenario geopolitico in continua evoluzione.
REGOLE D'INGAGGIO
Anche se il dettaglio esatto delle ROE per l'Operazione Aspides non è pubblicamente disponibile per ragioni di sicurezza e operatività, è possibile identificare alcuni principi comuni che spesso formano la base delle regole d'ingaggio in contesti simili:
Legittima Difesa: Autorizzazione all'uso della forza in risposta a minacce imminenti o attacchi contro le forze militari o altri bersagli protetti.
Proporzionalità: L'uso della forza deve essere proporzionale alla minaccia affrontata, per evitare eccessi e danni collaterali non necessari.
Minimizzazione dei Danneggiamenti Collaterali: Impiego di tutte le precauzioni possibili per evitare o almeno minimizzare lesioni o danni a civili e proprietà civili.
Identificazione: Impegno a identificare correttamente i bersagli come ostili prima di ingaggiare, per prevenire attacchi contro non combattenti.
Esecuzione: Condizioni sotto le quali specifiche azioni possono essere intraprese, includendo quando è permesso aprire il fuoco e quali tipi di armi possono essere utilizzate in specifiche situazioni.
ROTTE COMMERCIALI
Marco Pugliese
L’Associazione Internazionale dei Proprietari Indipendenti di Petroli (Intertanko), che rappresenta quasi il 70% di tutte le petroliere, chimichiere e gasiere internazionali, ha dichiarato che le petroliere dovrebbero “stare ben lontane” da Bab el-Mandeb e sostare a nord dello Yemen quando viaggiano verso sud attraverso la rotta del Canale di Suez. “Si prevede che il periodo di minaccia per il trasporto marittimo durerà diversi giorni”, ha dichiaratoIntertanko nell’avviso riportato dalFinancial Times.
L’aumento della minaccia per il trasporto marittimo nell’area ha fatto impennare i prezzi del petrolio di oltre il 4% nelle prime ore di venerdì, dopo che le forze statunitensi e britanniche nel Mar Rosso hannocolpito obiettivi militarinello Yemen nella tarda serata di giovedì in risposta agli attacchi degli Houthi contro le navi nell’area.
“Questi attacchi mirati sono un chiaro messaggio che gli Stati Uniti e i nostri partner non tollereranno attacchi al nostro personale né permetteranno ad attori ostili di mettere a repentaglio la libertà di navigazione”, ha dichiarato il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden in un comunicato successivo agli attacchi aerei e navali.
Anche BIMCO, la più grande organizzazione mondiale di armatori, noleggiatori, broker e agenti marittimi, ha consigliato ai suoi membri di evitare il Mar Rosso. “Se la situazione dovesse degenerare, tutte le navi dovranno evitare il Mar Rosso fino a quando non sarà ripristinato il passaggio sicuro e chiuderanno di fatto il Canale di Suez per tutte le navi”, ad eccezione di quelle che non attraversano il Mar Rosso, ha dichiarato Niels Rasmussen, analista capo della BIMCO, come riportato daBloomberg.
In un aggiornamento di venerdì, il gigante delle spedizioni Maersk ha dichiarato che “La situazione è in continua evoluzione e rimane altamente volatile, e tutte le informazioni disponibili confermano che il rischio per la sicurezza continua ad essere ad un livello significativamente elevato”.
“Abbiamo pertanto deciso che tutte le navi Maersk destinate a transitare nel Mar Rosso/Golfo di Aden saranno dirottate a sud, intorno al Capo di Buona Speranza, per il prossimo futuro”, ha aggiunto Maersk.
Quindi se la missione dell’attacco di USA e UK era quella di rendere più sicuro il transito nello stretto e nel Mar Rosso, per ora ha raggiunto l’obiettivo opposto.
La situazione presso l'ex stabilimento Ilva a Taranto è descritta come "disperata" da Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, in un'intervista a La Stampa. Questa crisi è attribuita alle politiche dell'Unione Europea e alle decisioni strategiche di ArcelorMittal. Gozzi sostiene che la scelta di ArcelorMittal di ritirare gli investimenti dall'Italia e concentrarsi sull'India è dovuta alla grande popolazione indiana e alla relativa bassa produzione di acciaio, rendendo il paese più attraente rispetto alla Cina, un mercato già saturo.
Gozzi critica inoltre l'UE per l'eliminazione delle quote gratuite di CO2, un cambiamento che imporrà un onere finanziario significativo sull'industria siderurgica europea. Per esempio, l'ex Ilva dovrebbe acquistare 8 milioni di tonnellate di CO2 a un costo elevato. Questa politica ha già portato Mittal a sospendere gli investimenti in vari paesi europei, inclusi stabilimenti efficienti in Francia e Germania.
Senza un sostegno finanziario adeguato dall'UE per la decarbonizzazione, Gozzi vede un futuro incerto per l'ex Ilva e l'industria siderurgica europea in generale. Suggerisce un intervento dello Stato italiano, come la conversione di un prestito obbligazionario in capitale, per salvare l'azienda. La situazione riflette le sfide complesse dell'industria siderurgica in Europa, influenzate dalle decisioni aziendali e dalle politiche governative.
*Federacciai rappresenta le Imprese Siderurgiche Italiane e conta 121 aziende associate (dato aggiornato al 31/12/2022) che realizzano e trasformano oltre il 95% della produzione italiana di acciaio. Attualmente il settore siderurgico italiano si colloca ai vertici del sistema economico nazionale, con circa 70.000 addetti e una produzione media di 21,6 milioni di tonnellate nel 2022, e del mercato europeo dove si posiziona al secondo posto per produzione e consumo di acciaio alle spalle della Germania.
Il risveglio dell'Italia
Marco Pugliese
Enrico Mattei è tornato sulla scena dell'economia italiana, storicamente e
culturalmente la sua opera ha cambiato l'Italia dal profondo. Da mesi si
parla"d'un piano Mattei"; che da poco è stato approvato al Senato.
L'Italia, con un occhio sempre più attento verso la cooperazione
internazionale, ha lanciato quindi un'iniziativa pionieristica per rafforzare i
legami con il continente africano: il "Piano strategico Italia-Africa:
Piano Mattei", comunemente noto appunto come "Piano Mattei".
Questo documento programmatico strategico mira a una collaborazione
multidimensionale, abbracciando una vasta gamma di settori chiave per lo
sviluppo sostenibile. Il Piano Mattei non è un approccio "taglia
unica". Prevede strategie territoriali specifiche per differenti aree
dell'Africa, adattandosi alle esigenze e alle caratteristiche d’ogni regione.
La durata prevista del Piano è quadriennale, con la possibilità di
aggiornamenti anche prima della scadenza, permettendo così una risposta agile e
attuale alle sfide e alle opportunità emergenti. Per garantire un impatto
efficace, le amministrazioni statali italiane sono chiamate a conformare le
loro politiche pubbliche al Piano Mattei. Questo assicura che le iniziative a
livello nazionale siano allineate con gli obiettivi del Piano, creando una
sinergia tra i vari settori d'intervento ma sullo sfondo abbiamo una crisi di
debito privato (non italiano) in arrivo, debito tossico creato da prestiti
bancari a cui si vuol riparare con il meccanismo di stabilità modificato. Il
MES è stato originariamente creato come un fondo per salvare gli
stati in difficoltà finanziaria, simile al Fondo Monetario Internazionale.
Tuttavia, la riforma lo trasforma in un "Fondo salva-banche". Questo
significa che il MES può intervenire direttamente per ricapitalizzare le banche
in difficoltà (di fatto un qualcosa di non permesso in UE), senza passare
attraverso gli stati a cui appartengono.
Secondo questa analisi, se le banche, in particolare quelle tedesche o
francesi (in crisi e a rischio default, secondo la BCE ), ricevono aiuti dal
nuovo MES, il debito pubblico di questi paesi (che sono Francia e Germania)non
ne risentirebbe. Questo si discosta dall'approccio precedente, dove gli stati
si indebitavano con il MES per poi ricapitalizzare le loro banche, aumentando
il loro debito pubblico.
Il MES sarebbe in grado d'agire come un prestatore di ultima istanza
(non possibile per gli stati, 2600 miliardi di totale sono pochi) per il
sistema bancario , offrendo una rete di sicurezza senza richiedere garanzie.
Questo ruolo non è esteso agli stati, ma solo al settore bancario privato.
La riforma del MES fa parte d'una strategia più ampia, dove la Germania
cerca di proteggere il proprio sistema bancario e di trasformare il MES in un
Fondo Europeo Salva-banche.
Non condivisione dei rischi sovrani, sempre avversata dalla Germania, ma la
condivisione delle perdite bancarie, la speculazione prende nota.
La Germania (che ha barato per 900 miliardi ), mentre ci impone la
riduzione del debito attraverso il default distruttivo, difende a tutti i costi
il suo sistema bancario, in gravi difficoltà, Berlino favorevole anche ad un
sistema europeo d' assicurazione dei depositi: da una parte si preoccupa
di salvare le sue banche, e dall’altra i suoi risparmiatori. Nello stesso tempo
blocca eventuali iniziative italiane, soprattutto bilaterali.
Il sistema-Italia viene usato come detonatore, badate bene che
l' ostaggio della speculazione finanziaria non è l’Italia. Sono le
banche tedesche e le loro filiali americane, sotto vigilanza della Fed. Gli Usa
aspettano Trump per farle saltare in aria e senza nuovo Mes entro il 2024 la
Germania rischia.
Berlino ha imposto nuovamente un patto di stabilità iniquo ma oggi ha
incassato un no da parte di Roma al suo progetto di salvaguardia.
L'Italia ha un sistema bancario sano, non ha esposizioni tossiche e ha
debito privato basso, 9000 miliardi di patrimonio (che si vuole attaccare) e
può coprire il proprio debito pubblico (2/3 in mano italiana, sarebbe saggio
acquistare l'ultimo terzo) che con il nuovo Mes sarebbe esposto a speculazione
feroce (nel mentre i soldi dei risparmiatori italiani sarebbero utilizzati per
salvare le banche altrui, invece servono per lo sviluppo di piani
nell’interesse nazionale, come quello dedicato ad Enrico Mattei).
Il COPASIR nel 2022 suggeriva in una relazione: “a fronte d’una produzione
domestica di gas "marginale" di 3 miliardi di metri cubi di gas, che
rappresenta solo il 4% dell'approvvigionamento, l'Italia ha importato 73
miliardi di metri cubi di gas da altri paesi, 30 miliardi dei quali
direttamente dalla Russia sull'Africa (dall'Algeria alla Libia, dal Congo
all'Egitto), purché però si attui un modello di partnership che assicuri
stabilità, pace e sviluppo ai Paesi fornitori che vanno stabilizzati. Il
protagonismo ostile e assertivo di potenze come la Cina e la Russia, che da
tempo coltivano mire espansionistiche e coloniali in Africa, destabilizza i
fornitori, i quali diminuiscono la produttività con annessi problemi di prezzo.
Poter invece usufruire di gas riconducibile all'Eni è un vantaggio innegabile
che permette al nostro Paese di tenere una posizione di forza". Tale
citazione dimostra quanto sia fondamentale agire con un Piano vero e proprio,
ne va il futuro del nostro Paese a livello economico e geostrategico.
Alla luce di tutto questo come potrà attuarsi il Piano Mattei? In realtà il
governo tiene il massimo riserbo mediatico per un motivo: teme sabotaggi
interni ed esterni. La riuscita del Piano porterebbe a tre obiettivi: controllo
dell’immigrazione, ripresa economica da primi della classe in Europa e
spostamento dell’asse strategico dal Nord al Sud d’Europa. Uno scacco
matto.
Ossigeno per le industrie italiane (anche le Pmi) che potrebbero operare
all’estero con lo scudo del Piano Mattei (soprattutto in Libia o Niger) creando
una vera e propria rete economica che porterebbe il Mediterraneo ad avere un
ruolo geostrategico diverso, soprattutto in termini energetici e di baricentro
commerciale con i porti italiani in prima linea. Un attore come l’Italia
garantisce più equilibrio per gli Usa, non ha un passato coloniale come Londra
e Parigi e non ha affari profondi con la Cina (come la Germania), potrebbe
diventare un cardine del nuovo assetto occidentale con funzioni “ponte” con
Mosca, mondo arabo e Pechino.
Una strategia globale vitale per un Paese, il nostro, che dal 1992 si muove
solo in ambito europeo e sempre o quasi dietro ai placet di Berlino e Parigi.
Patto di stabilità prima e MES poi, sono dei paletti che possono bloccare sul
nascere iniziative come il Piano Mattei che guardano all’interesse nazionale e
riportano la nostra nazione ad essere attiva sul palcoscenico internazionale,
riconquistando un ruolo perso dopo il 1992, è tempo d’osare.
Biocarburanti, una mia analisi mentre la Germania tenta di danneggiarci… (del resto il cancelliere Schmidt nel 1978 fu chiaro: ci dobbiamo vestire con un mantello europeo. Oltre che coprire Auschwitz e le nudità della politica di Berlino, servirà a darci ampio margine di manovra)
La controversia sugli e-fuel prodotti da fonti non pulite sta diventando sempre più centrale in Europa, e l'approccio adottato dalla Germania, che sembra favorire questi combustibili, potrebbe avere ripercussioni sull'Italia e sul colosso energetico Eni.
E-fuel e biocarburanti: il contesto Gli e-fuels sono combustibili sintetici prodotti dalla combinazione di CO2 e idrogeno. La sorgente di questi componenti determina la loro sostenibilità. Se l'idrogeno viene prodotto utilizzando energia rinnovabile, allora gli e-fuel possono essere considerati puliti. Se, invece, proviene dal metano o dal carbone, la loro impronta di carbonio sale drasticamente.
Parallelamente, Eni ha intrapreso un percorso ambizioso nella produzione di biocarburanti. Nel 2020, Eni ha prodotto circa 1 milione di tonnellate di biocarburanti attraverso le sue raffinerie. Questi biocarburanti rappresentano una soluzione pulita e sostenibile, in contrapposizione agli e-fuels da fonti non pulite.
Le possibili perdite per Eni e l'Italia Eni ha investito notevolmente in tecnologie verdi, e la tendenza verso e-fuels non puliti potrebbe mettere a rischio tali investimenti. Se la Germania, uno dei principali mercati europei, adottasse una posizione più flessibile sull'origine degli e-fuels, Eni potrebbe perdere una quota significativa del mercato a favore di produttori più economici ma meno sostenibili.
L'Italia, dal canto suo, rischia di perdere in termini di reputazione ambientale. Se la Germania e altri paesi europei favorissero gli e-fuels da fonti non pulite, l'Italia potrebbe essere percepita come meno competitiva e meno impegna in termini di sostenibilità.
Conclusione
La scelta tra e-fuels sostenibili e quelli da fonti non pulite non riguarda solo l'ambiente, ma anche la competitività e la posizione del mercato di aziende come Eni. Favorire soluzioni sostenibili è essenziale per garantire un futuro pulito e per mantenere la leadership nel mercato energetico del XXI secolo, non leggo molte analisi sull’argomento in Italia, eppure rischiamo d’essere fortemente danneggiati…
*sopra schema carburanti sintetici da fonti pulite
Speciale spese militari: quale strategia industriale per l'Italia?
Marco Pugliese
In Italia manca una cultura della sicurezza e della difesa?
Con la guerra in Ucraina l'Europa (la Ue) ha capito d'aver sbagliato completamente progetto, di fatto la CEE era più competitiva perchè si basava su unioni d'intenti strategici e non su utopie (siamo europei ma abbiamo storie diverse, inutile raccontare storie, la cultura non è artificiale).In mezzo lo stucchevole dibattito italiano sulle spese militari, oltre che la Costituzione citata non sempre correttamente (nulla c'entra il ripudio alla guerra), ci si dimentica che:
- l'Onu promuove la difesa e sicurezza (che non si fa a parole, in Darfur uccidono neonati e donne, interveniamo in che modo?...)
- l'Italia dal 1970 (accordi Nato) non spende più che 1,4% punti Pil (sarebbe appunto un 2%)
- l'apparato militare ha bisogno di mezzi efficienti e moderni (si chiama deterrenza e serve nel rapporto tra stati, non servirebbe solo se a livello mondiale vi fosse un accordo di disarmo globale)
- Russia, Cina e India ragionano in termini "di potenza militare", in egual modo i paesi arabi (tradotto: chi non ha deterrenza diventa una preda)
- le spese militari non tolgono soldi ad altri capitoli di bilancio(e creano posti di lavoro nel comparto civile con l'indotto, oltre che mantenere la filiera economica attiva)
- questi soldi possono essere utilizzati anche per l'aereospazio (dato che quelli del Pnrr li abbiamo donati all'Esa e non all'Asi da buoni fessi...)
- denari utilizzabili anche per la ricerca (il fine militare non blocca brevetti ad uso civile, altro punto non sviscerato)- fino ad ora abbiamo mandato i militari in missione onde evitare il 2% (ma non si può continuare con nemmeno 100000 uomini in armi...)
- siamo nel G7 e il mondo ci guarda, un paese del nostro livello non può fare politica di vassallaggio come chi vive di turismo e non produce nulla, non è il nostro caso, va cambiata la prospettiva
- le rotte commerciali vanno difese e servono apparati militari per farlo, come dimostrano i problemi attuali in Medio Oriente (o le merci ordinate da mezzo mondo non arrivano...)
Uscita dalla Nato?
In linea teorica si può, ma a quel punto le spese militari salgono a 4/5% del Pil, visto che non sarebbe possibile mandere la nostra economia come deterrenza. Ricordiamoci che: Internet, cellulari, GPS, voli turistici veloci (i motori derivano dalle sperimentazioni militari di bombardamento tattico, ma quando vi sciallate in aereo non credo ci pensiate), perfino selfie da località esotiche (parliamo di microcamere ad alta definizione create per foto destinate allo spionaggio), sono tutte tecnologie militari diventate civili negli ultimi 30 anni, perfino la corsa allo spazio è in realtà guerra ibrida.
Urge un cambio di narrazione.
Industria spaziale ed Italia
di Marco Pugliese
Spazio ed industria: non diventi la grande occasione mancata…
L’economia spaziale italiana spesso è romanzata e gestita con qualche servizio inerente astronauti, un modus pionieristico che alla lunga farà più male che bene.
In realtà, a livello economico siamo:
terzi contribuenti europei, uno dei pochi stati al mondo che copre l' intera filiera del settore (tradotto: può costruire ed assembleare in autonomia...)
- 250 imprese nel settore (80% pmi) - 7000 occupati +15% negli ultimi 5 anni - 74% di startup nate negli ultimi 5 anni - 2 miliardi annui di guadagno, prodotto industriale - 1,07 miliardi il budget ESA assegnato all' Italia - dal 1992 l' Italia ha mandato ben 7 astronauti in orbita
In Europa Francia e Germania hanno investito (senza Recovery ed altre diavolerie) nel settore (post Covid) miliardi (l'obiettivo è essere autonomi nella filiera come noi).
Sempre Berlino e Parigi, consci nel 2040 quest' industria rappresenti il 40% dell' economia mondiale, hanno formulato piani industriali civili e militari, investito in ricerca e puntato a brevetti interni (tradotto : investono in ricerca, onde evitare i capaci vadano all' estero).
L' Italia invece:
- non ha esposto nessun piano industriale con le aziende della difesa come Leonardo a metà strada tra pubblico e privato, per ora eccellenze mondiali, il tutto varrebbe 1,5 punti di PIL
- non ha investito realmente in ricerca e scuola (oltre i banchi a rotelle avete visto altro?), non si contano i giovani che lasciano il Belpaese ogni anno, formati qui a spese del contribuente, emigrano e fanno crescere i competitor anche del settore spaziale
- non ha messo mano ai contratti ricerca, pensate, in un settore così delicato s' applica il contratto del commercio...
- non ha investito in startup under 40
L'Italia, mentre Parigi creava una forza spaziale militare, ha investito in monopattini, sembra una barzelletta che non fa ridere.
Dopo la manifattura (sesta al mondo, per ora) l'industria spaziale italiana rappresenta una forza mondiale, a ridosso delle superpotenze e fornisce tecnologia e consulenze a NASA e SpaceX. (meglio lasciar perdere la Cina...)
Cosa aspettiamo ad investire seriamente? Ora è il momento. Creando lavoro ed investimento vero, indotto e sinergie con la ricerca (brevetti sviluppati qui...) il guadagno annuo può in cinque anni essere moltiplicato per dieci (la tecnologia poi è applicata in altri settori...)
Io credo che gli italiani, a domanda, non sappiano nemmeno di vivere in un paese ad alto potenziale spaziale... un po' strano non trovate?